FRANCESCO IL RE CRISTIANO

 (di Giovanni Grimaldi)

 

 

ABSTRACT:

 

  1. Francesco denigrato e offuscato dai nemici, ma frainteso anche dai sostenitori
  2. Nessun giudizio storico sul re, ma la dimostrazione delle sue virtù eroiche cristiane
  3. Nato in una famiglia al centro di congiure internazionali
  4. La sua stessa nascita al centro di una congiura
  5. La perdita del suo regno per una congiura, non solo politica, ma in “odium fidei”
  6. La congiura perpetrata dai Savoia, dai Borbone Spagna e dai suoi nemici fino ad oggi
  7. Francesco come vero cristiano
  8. Francesco che si considerava vero cavaliere (un guerriero della fede al servizio del Signore e del suo popolo) e vero re (rappresentazione della regalità di Cristo in Terra)
  9. Francesco martire per persecuzione politica e anticristiana
  10. Francesco testimone delle vittime di guerra, dei perseguitati, degli esuli, degli immigrati

 

 

 

            "Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto." (MT 10,26).

 

Tutto ciò che è stato per tanto tempo nascosto, come rivela il Vangelo, sarà infatti svelato. Ed è quindi tempo, dopo tanti anni, che sia disseppellita, dalle bugie della storia e dall’oblio del tempo, la verità su chi davvero fu l’uomo di cui vorremmo brevemente discorrere.

Perché lo scopo di questo breve testo è innanzitutto quello di aiutare il lettore a comprendere la vera figura di Francesco di Borbone. Francesco e non semplicemente il sovrano Francesco II delle Due Sicilie. Colui che nacque come principe, divenne sovrano, fu travolto dal fato avverso e dall’odio del suoi nemici, fino a patire l’ingiusta guerra, l’esilio, l’emigrazione, la persecuzione, la lunga e struggente amarezza di una vita da martire.

 

Occorre quindi comprendere innanzitutto che il motivo per il quale Francesco venne nascosto fu innanzitutto l’essere stato anche il sovrano Francesco II.

Perché fu la sua figura storica di sovrano, denigrata, perseguitata, derisa e sminuita, che finì per coprire ed offuscare, dinnanzi alla storia soprattutto e dinnanzi alle persone, la sua vera identità, la sua reale vita di uomo, la sua grande figura di cristiano, la verità sulle sue opere e sui suoi meriti.

Perché infatti Francesco fu uomo che visse da vero cristiano, da vero cavaliere di Cristo e per questo anche da vero sovrano, perché nella sua esistenza comprese che incarnare la regalità del Salvatore era la sua missione esistenziale ed il suo dovere fondamentale, quale sovrano e quindi ad imitazione di Cristo, per amore e fede, fino a seguirne i santi passi durante il calvario della guerra e dell’esilio, fino a diventare egli stesso vittima immolata, fino all’estremo sacrificio, in una lunghissima agonia esistenziale, per amore della sua fede e del suo popolo; quel popolo che Iddio gli aveva affidato e che egli reputò di dover guidare ed amare nel miglior modo possibile, in nome della sua fede, così come nel nome dei suoi princìpi e dei suoi valori.

 

Per tali motivi occorre dunque riscoprire la vera storia personale di Francesco, sgombrando innanzitutto la propaganda storica negativa sotto la quale venne sepolto. Quella propaganda sabauda, che per giustificare le proprie motivazioni bellicose e la conquista di un regno pacifico, dovette anche armare ed allestire la “macchina del fango”; la propaganda risorgimentalista che in tutti i modi volle dipingere i Borbone come una dinastia sanguinaria, inetta, incapace e ottusa, accanendosi infine sull’ultimo loro re, salito al trono ancora giovane e travolto dagli eventi e dalle congiure, il sovrano che fu travolto da talmente tanti di quei veleni e da tanto di quel fango, che finirono per sommergerlo, non solo all’epoca della sua tragica esistenza ma fino ai giorni nostri.

 

Ma allo stesso modo non bisogna nemmeno scadere nel facile e stucchevole sentimentalismo revisionista. Quello che vorrebbe Francesco semplicemente come un re che fu un “buon uomo”, un “mite”, alla meno peggio un “poverino, ma incapace”, così come certi nostalgici hanno voluto poi dipingerlo. Quasi a compassione ed a giustificazione del suo perduto regno, nella fallita resistenza, del lungo ed inutile esilio. Ma è un errore, anche in questo caso, perché Francesco non fu soltanto un “buon uomo” che si trovò a regnare e non ne fu capace; perché anche questo è un errore storico, frutto di superficialità e dabbenaggine.

 

Quindi per cercare di capire chi davvero fu quest’uomo, bisogna superare tutta la falsa ricostruzione sabauda, liberale e massonica, che lo marchiò a fuoco con l’infamia dell’incapace, del bigotto, del debole, del rassegnato. E capire che invece di un sovrano incapace, fu in realtà un monarca meno esperto di politica e di governo; invece che un bigotto fu in realtà un vero ed ardente cristiano; invece che un debole, fu in realtà un uomo paziente e tenace nella fede; invece che un fatalista rassegnato, fu un novello Giobbe (così come, in modo ispirato, lo definiva Papa Pio IX), forte in una granitica fede e che solo per questo fu capace di vivere, soffrire e subìre il suo lungo e tormentoso calvario.

 

Ma non spetta certamente a chi scrive giudicare se e quanto Francesco visse davvero da cristiano degno della santità (è Nostro Signore che giudica e l’illustrissimo Dicastero della Santa Chiesa che poi lo accerta), ma sicuramente l’odio che lo travolse ci dimostra molto più di quanto potrebbe apparire a prima vista.

Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia” (Gv 15,18-19).

 

Ma chi fu dunque Francesco?

Per la storia fu Sua Maestà Don Francesco II d’Assisi Maria Leopoldo di Borbone Re delle Due Sicilie (deposto il 21 ott. 1860 ma mai abdicatario), poi pretendente al Trono del Regno delle Due Sicilie (1861-1894), Capo della Real Casa delle Due Sicilie (1859-1894), già Duca di Calabria (1836-1859), Gran Maestro dell’I.R.O. di San Gennaro, Gran Maestro del S.M.O. Costantiano di S.Giorgio, Gran Maestro dell’Ord. di San Ferdinando e del Merito, Gran Maestro dell’Ord. cavalleresco e militare di San Giorgio della Reunione, Gran Maestro Reale dell’Ord. di Francesco I, cav. Ord. del Toson d’Oro, cav. O.S.S.A., cav. Ord. dell’Aquila Nera, cav. Ord. di Sant’Uberto, cav. di gr. cr. del Reale e distinto Ord. di Carlo III, gr. cr. Ord. della Legion d'On.,e Capo del Casato, Gran Maestro degli Ordini Dinastici della R. Casa.

Ma cosa pensava in realtà di se stesso, Francesco?

"Fine dell'uomo. L'uomo è creato da Dio per amarlo e servirlo in questa terra e goderlo eternamente nell'altra" (Francesco II, Diario, 1° gennaio 1894).

Ecco chi fu Francesco. Innanzitutto e soprattutto un cristiano. Cristiano nel senso più completo, profondo, pieno, totale e assoluto del termine. Amare Dio e servirlo. Così come ci ha insegnato N.S. Gesù Cristo: colui che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Matteo 20:28). Il Figlio che, pur essendo l’Unico Re, discese in Terra per servire il suo popolo.

Quale migliore identificazione dunque per Francesco che ispirarsi a Cristo? Quale più grande missione che quella di essere un sovrano che comprese e visse in questo modo la sua missione di re cristiano? Ovvero impersonando la regalità di Cristo. Colui che è re dell’Universo ed insieme si abbassa ad essere servo di tutti i suoi sudditi. Così Francesco, il sovrano, che si abbassa e si sacrifica per amore del suo popolo, ad imitazione dell Cristo Re.

Perché qui è il paradigma di tutta la vita di Francesco e se non si comprende questo, non è possibile comprendere la sua vita e le sue azioni.

Infatti solo alla luce di questa sua fede e di questo suo profondissimo senso evangelico della regalità possiamo comprendere ciò che scrisse ad esempio, il 14 febbraio 1861, dopo aver firmato la capitolazione di Gaeta, laddove nel suo proclama affermò: “… il dover di Re, l’amor di padre mi comandano di risparmiare lo spargimento di sangue che nelle presenti circostanze non sarebbe che la manifestazione di un eroismo inutile.”

 

Ma come possiamo capire chi fu davvero Francesco se non accenniamo alla sua vita, alle sue opere davvero stupende ed encomiabili? Perchè anche in questo possiamo restare increduli nello scoprire quanto male ebbe nella sua vita e, nonostante questo, quanto pienamente visse nella fratellanza cristiana più sentita, nella più sincera carità e nella più profonda fede.

Un uomo che, fin dalla sua nascita fu segnato dal dolore ed unitamente ad esso, dalla fede, profonda e sincera come il suo animo.

 

Innanzitutto il nome di Francesco fu scelto per onorare San Francesco di Assisi, il santo che nei secoli venne additato come l’esempio perfetto di cristiano, l’“alter Christus” che ricorda sempre come il vero cristianesimo sia radicale, un amore infinito per Dio, allontanandosi innanzitutto da se stessi e dai propri egoismi, dai propri interessi materiali e mondani.

           

Ma fu la stessa nascita di Francesco ad essere innanzitutto segnata dal dramma della morte di sua madre, la regina Maria Cristina di Savoia (1812-1836). Maria Cristina, infatti, che nel 2014 venne poi beatificata, morì pochi giorni dopo il parto, per le complicazioni sopravvenute.

La figura di Maria Cristina, già in vita riconosciuta come la “Reginella Santa”, per le sue virtù cristiane, fu particolarmente importante per la formazione personale e spirituale di Francesco.

La madre che egli mai conobbe e che perse in fasce, dopo l’ultimo bacio commosso della regina, fu per il bimbo l’angelo che accompagnò i suoi primi passi, fu per il fanciullo l’esempio di santità alla cui ombra crescere in virtù e cristianità, così come fu per l’uomo l’esempio al quale ispirarsi, da amare ed imitare.

 

Allo stesso modo: "L'universale affetto professato alla madre riverberò immenso, irresistibile, sull'augusta prole, che avea costato la perdita di sì ricco e caro tesoro..... E questo sentimento di affetto, anzichè diminuire col passar degli anni, aumentossi, e quando nelle pubbliche solennità, con l'assisa del soldato, il fanciullo attraversava le vie popolose di Napoli, uno era il grido, una la voce dettata dal cuore alle labbra de'circostanti: "ecco il figlio della santa". In siffatta guisa le materne virtù erano incentivo di amore, anzi scudo e difesa all'ingenuo principe, al figlio della preghiera, riguardato dal popolo come un pupillo affidato alla sua tutela"

(cfr. de Cesare, Guglielmo, Vita della venerabile serva di Dio, Maria Cristina di Savoia: regina delle Due Sicilie cavata da'processi per la di lei beatificazione e canonizzazione, Italia: Civilta Cattolica, 1863, pag. 289).

 Ma la famiglia di Francesco fu afflitta anche dalle sinistre trame dei loro nemici, dentro e fuori il regno e la loro stessa Casa.

Innanzitutto i Borbone erano al centro delle mire internazionali di Stati nemici, come l’Inghilterra e la Francia, ma ancora più tristemente furono coinvolti nelle trame di una lunga e tormentata storia di conflitti ed intrighi con i Borbone di Spagna.

La Spagna, infatti, era sconvolta da molti anni da guerre civili e faide per motivi dinastici, che vedevano contrapposti la regina Isabella II di Spagna (1830-1904) e suo zio Carlo (1788-1855), detto “Don Carlos”, fratello di Ferdinando VII, che era stato ingiustamente privato della sua precedenza per la successione al trono spagnolo.

 

Infatti re Ferdinando VII di Spagna (1784-1833), che non aveva discendenti maschi aveva emanato il 19 marzo 1830, la Prammatica Sanzione e tale normativa, che era seguita alla “Siete Partidas” del 1789, aveva stravolto la Legge Dinastica spagnola del 1713 (che era stata invece recepita anche nei trattati internazionali del tempo per mantenere il principio generale dell'equilibrio politico degli Stati d'Europa), imponendo che, in mancanza di discendenti maschi dell’ultimo sovrano, potessero succedere le figlie femmine del sovrano, ma scavalcando la precedenza dei Principi maschi dei Borbone di Spagna.

Pertanto alla morte di Ferdinando VII la figlia salì al trono e il Principe Carlo si ritirò in Portogallo, proclamandosi re come “Carlo V” e ponendosi a capo del “carlismo,” il movimento conservatore di stampo tradizionalista, che difendeva il suo diritto al trono.Tale situazione avrebbe scatenato in Spagna varie e sanguinose guerre (dette carliste), ma coinvolse anche la politica internazionale, perché ebbe riscontri con le altre Case Borbone. Infatti l’abuso dinastico ebbe fondamentali conseguenze dinastiche anche in altri rami borbonici, perché pur non spogliando i discendenti maschi di Filippo V dei loro diritti sul trono di Spagna, li spostò nell’ordine di successione dopo tutte le femmine nate da una linea maschile primogenita. Per tali ragioni i Borbone Due Sicilie, protestando per i diritti violati di Carlo V ed anch’essi declassati dopo i molti discendenti delle figlie dei sovrani spagnoli, appoggiarono il “carlismo”, nonostante che la vedova reggente di Spagna e madre di Isabella II fosse Maria Cristina di Borbone Due Sicilie (1806-1878), figlia di re Francesco I.

Per tale motivo dal 1836 la Spagna ruppe le relazioni diplomatiche con il Regno delle Due Sicilie.

 

Ma la nascita del Servo di Dio Francesco si trovò coinvolta anche in un’altra congiura familiare.

Infatti prima della nascita di Francesco, suo zio Carlo Ferdinando di Borbone (1811-1862), figlio di Francesco I, Principe di Capua, già Duca titolare di Noto (1825-1830) era Duca titolare di Calabria (1830-1836), e quindi il probabile erede al trono del fratello Ferdinando II.

Ma dopo la nascita di Francesco (l’erede al trono e futuro Francesco II), il principe Carlo, molto probabilmente spinto dall’Inghilterra, ruppe con il fratello Ferdinando II, partì dal regno senza permesso (violando la normativa in merito per i principi reali) ed andò in Scozia, dove contrasse matrimonio non autorizzato il 5 aprile 1836, ovvero senza aver ottenuto l’obbligatorio regio assenso (in virtù dell’Atto sovrano n. 2362 del 1829), con la sua amante Penelope Smyth (1826-1882), nipote del Primo Ministro inglese, Lord Palmerston. Cosa che spinge a credere che non fu un caso questa relazione, ma piuttosto il frutto di una precisa macchinazione, un piano diabolico per attentare e minare al regno borbonico, così come in seguito avrebbe fatto la Contessa di Castiglione con Napoleone III.

 

A quel punto re Ferdinando II emise un decreto che confermava la decisione del 1829 del loro defunto padre re Francesco I delle Due Sicilie che i membri del sangue reale del Regno, indipendentemente dalla loro età, erano tenuti ad ottenere il consenso del sovrano per sposarsi e che i matrimoni fatti senza tale consenso dovevano essere considerati nulli (12 maggio 1836). La disputa continuò per gli anni seguenti, ma re Ferdinando II fu irremovibile nel considerare tale matrimonio come non dinastico e “non produttivo di effetti politici e civili”, pur rendendosi disponibile a concedere al fratello titoli nobiliari e rendite, a determinate condizioni.

Anche per questo e per non lasciare che il piccolo Francesco, il quale se fosse restato unico erede al trono sarebbe stato sempre in pericolo, re Ferdinando sposò la sua seconda moglie, Maria Teresa d'Asburgo-Teschen (1816-1867), dalla quale ebbe poi ben dodici figli.

Ma non è intenzione di chi scrive raccontare come si svolsero l’infanzia e l’adolescenza del principe Francesco, perché ampia letteratura storica, nonostante i detrattori, ne ricordano la maturazione culturale e spirituale, che ne fecero un giovane di profondissima fede ed ardente carità.

Eppure il male continuò ad insidiare la sua famiglia ed il trono paterno. Così come quando l'8 dicembre 1856, giorno dell'Immacolata Concezione, dopo la Santa Messa, re Ferdinando II venne aggredito dall'attentatore Agesilao Milano, che tentò di ucciderlo. Il sovrano non guarì mai completamente da tale ferita e forse la sua morte, che avvenne poco meno di tre anni dopo (il 22 maggio 1859), fu dovuta ad una setticemia, oppure forse addirittura avvelenato.

 

Fin da quando salì al trono si temettero poi trame ed intrighi. Addirittura si era anche pensato che contro Francesco II e la sua sposa avessero tramato perfino la vedova di Ferdinando II, la regina Maria Teresa, che sperava forse di sostituirlo con il figlio Luigi, Conte di Trani. A tal riguardo "il ministero raccolse le prove della congiura non solo nelle Puglie, ma in altre provincie del Regno, e Filangieri presentò quelle prove al Re, il quale senza neppur porvi gli occhi sopra, buttò le carte in un camino, dicendo al primo ministro "E' la moglie di mio padre". (De Cesare, Raffaele. La fine di un regno – Vol. II. Italia, ed Trabant, 2016, pag. 35).

 

Ma la morte di re Ferdinando II e l’acerba ascesa al trono di Francesco furono l’occasione propizia per tutti i nemici del regno di approfittare per tentare la conquista delle Due Sicilie. Sarebbe troppo lungo e fuori tema il dilungarci sull’invasione di Garibaldi e dei suoi mercenari, sull’appoggio dell’esercito sabaudo che calò nel meridione, così come narrare delle battaglie, degli eroici assedi e della caduta del regno, fino alla guerra di resistenza che scoppiò poco dopo e che durò un decennio, in nome del lealismo e della fedeltà a Francesco ed alla dinastia borbonica.

 

Ciò che invece preme ricordare ed è importante farlo è il comportamento di Francesco durante tutti questi drammatici avvenimenti. Chiunque al suo posto avrebbe probabilmente reagito nel modo peggiore, preoccupandosi solo dei propri interessi, spendendo qualsiasi cosa per non farsi travolgere dai nemici. A qualunque costo, anche a costo di sacrificare tutti i suoi sudditi.

Ma non Francesco.

 

Il sovrano cristiano, che sentiva su di sé la missione di servo del Signore, non poteva sacrificare il suo popolo fino all’estremo sacrificio, pur essendo nel suo diritto di monarca. Più importante dei propri interessi erano la sua fede e l’amore conseguente per il suo popolo. Quale sovrano volle per questo proclamare: “Ho combattuto non già per me, ma per l’onore del nome che portiamo … io sono napolitano; nato in mezzo a voi, non ho respirato altra aria, non ho veduto altri paesi, non ho conosciuto che solo la mia terra natale. Ogni affezione mia è riposta nel Regno, i costumi vostri sono pure i miei, la vostra lingua è pure la mia, le ambizioni vostre sono pure le mie. … Mi glorio di essere un principe che, essendo vostro, ha tutto sacrificato al desiderio di conservare ai sudditi suoi la pace, la concordia e la prosperità” (Proclama Reale dell’8 dicembre 1860, cfr. anche P.G. Jaeger, “L’ultimo re di Napoli”, pag. 211)

Ma Francesco ad imitazione di Cristo Re, del quale si sentiva indegno ma doveroso seguace, servo e non padrone dei propri sudditi, arrivò appunto a perdere tutto ciò che aveva, allor quando ebbe piena comprensione che pensare a se stesso avrebbe causato una carneficina, come abbiamo già ricordato nel proclama del 14 febbraio 1861: “… il dover di Re, l’amor di padre mi comandano di risparmiare lo spargimento di sangue che nelle presenti circostanze non sarebbe che la manifestazione di un eroismo inutile…”.

           

 Fu tale la dignità, l’eroismo ed il comportamento impeccabile di Francesco che, nonostante il maremoto di denigrazione e di persecuzione che lo avrebbero colpito, tutti gli Stati dell’epoca ne ebbero l’eco, restandone colpiti: "La condotta di Sua Maestà la Regina delle Due Sicilie a Gaeta suscitò l'ammirazione di tutta Europa e tutti i Monarchi si affrettarono a congratularsi, anche a chi ha ispirato la minima simpatia la causa del degno Re delle Due Sicilie" (cfr. Ritratto storico di Francesco II Re delle Due Sicilie - Scritto nel 1864 da José Joaquin Ribó, ed. Ali Ribelli Edizioni, 2021).

 

Infine, come visto, Francesco lasciò il suo regno per evitare altri drammi e sofferenze al suo popolo e riparò presso Papa Pio IX. Qui, nel suo pieno diritto politico, sostenne le sue ragioni e coloro che vollero continuare a difenderne i diritti anche in modo energico, ma mai venne meno la carità e la fede del sovrano e della sua sposa.

Un caso, fra i tanti, venne ricordato  nelle cronache del tempo: “Tra i Signori e le Signore che si consacrarono in sollievo dei feriti è da ricordare S. M. il Re Francesco II delle Due Sicilie e S.M. la Regina Maria Sofia, la quale con una carità stupenda e degna d'una santa, malgrado la sua delicata salute, tutti i giorni veniva a racchiudersi in quella pietrosa dimora de dolore e vi passava lunghe ore della giornata, sempre presso il letto di coloro che maggiormente pativano...” (cfr. Mencacci, Paolo. La mano di Dio nella invasione garibaldina del 1867: memorie storiche, vol. 3, pag.447, Italia: tip. Cuggiani, Santini e C.̊, 1874).

Emblematico e fondamentale appare, a questo punto, evidenziare e porre il parallelo fra Francesco II, sovrano cristiano, ardente di fede, impregnato nel senso più alto e sacro della sua missione di sovrano al servizio del suo popolo, il quale venne detronizzato da nemici che odiavano il cristianesimo e la Santa Chiesa, massoni e liberali, ed il suo avversario Vittorio Emanuele II di Savoia (1820-1878), il re invasore, un falso cattolico, probabilmente ateo, il quale morì da scomunicato. In sostanza in tutto opposto a Francesco.

 

Non esageriamo quindi nel ritenere che la guerra contro il regno delle Due Sicilie non fu soltanto un’impresa di conquista, per la brama di impossessarsi dello Stato più ricolmo di ricchezze in Italia, ma fu anche una sorta di “contro crociata”, una guerra mossa in “odium fidei”, contro Francesco II, che per antonomasia era re cattolico (leggasi in merito l’encomiabile testo: “Francesco II di Borbone, Il Re Cattolico”) e contro il regno che in Italia costituiva senz’altro il baluardo dello Stato pontificio. Che infatti, conseguentemente alla caduta del regno borbonico, sarebbe stato conquistato dalle truppe sabaude (1870).

 

Ma tornando a Francesco, le trame dei suoi nemici non si dissolsero intorno al giovane sovrano ed alla sua sposa, nemmeno dopo la perdita del suo glorioso regno.

Innanzitutto in famiglia, laddove addirittura il fratello Luigi, conte di Trani (1838-1886) tentò di scavalcarlo e mettersi al servizio dei piemontesi. Da parte, una lunga scia di attentati e morti sospette travolse coloro che invece sostenevano Francesco.

Ad esempio quella di Carlo Luigi di Borbone-Spagna, Conte di Montemolin (1818-1861), capo dei carlisti e di sua moglie Maria Carolina Borbone Due Sicilie, sorella di Ferdinando II, morti  insieme di tifo, così come, poco, dopo la morte di Fernando di Borbone-Spagna (1824-1861), fratello minore di Carlo Luigi.

 

La Spagna, proprio per l’avversione dei Borbone Due Sicilie ed il loro sostegno ai carlisti, non diede il suo aiuto militare completo durante l'invasione sabauda del 1860-61 e la conseguente conquista del regno delle Due Sicilie. Addirittura Isabella II, nel 1865, riconobbe il regno d'Italia e quindi anche i diritti conquistati dai Savoia contro i Borbone Due Sicilie.

 

In seguito però Isabella II, per cercare di separare il Papa dai suoi nemici carlisti, fu quindi costretta a riavvicinarsi ai Due Sicilie. Papa Pio IX tentò allora di ricomporre la frattura politica fra le due Case Reali ed Isabella accettò infine di far sposare sua figlia, l'Infanta Isabella di Borbone-Spagna (1851-1931), erede eventuale del fratello Alfonso (il futuro A. XII) al trono di Spagna con Gaetano di Borbone Due Sicilie (1846-1871), Conte di Girgenti, fratello di Francesco II.

 

In questo modo la Spagna sembrò spostare la sua politica in favore dei Borbone Due Sicilie. Fu un passo importantissimo ed una nuova speranza per Francesco e la sua dinastia. Siccome il Conte di Girgenti, fratello minore di Francesco II, doveva quindi sposare nel 1868 l'Infanta Isabella, l’erede eventuale del Principe delle Asturie, era tenuto a firmare l'atto di rinuncia ai propri diritti di successione al trono delle Due Sicilie, così come richiesto dalla Prammatica Sanzione del 1759.

Si occupò personalmente di tale rinunzia proprio re Francesco II.

           

Ci narrano i fatti Pietro Calà Ulloa ("Un re in esilio", op. Cit.), attraverso le parole di Gigi Di Fiore, devoto ed ardente scrittore: "Francesco II avvertiva sempre più il peso delle responsabilità di educazione e mantenimento dei fratelli. Sulle nozze di Alfonso, aveva dovuto discutere e concordare assai poco. Su quelle di Gaetano, invece, si impuntò a esaminare ogni codicillo dell'intesa matrimoniale, ritardandone la data che la regina di Spagna voleva fissare subito per il 13 maggio. Il re si faceva scrupoli eccessivi su ogni aspetto del documento… dalla Spagna, si premeva per arrivare in tempi brevi al matrimonio, anche per motivi politici interni legati all'attività di gruppi ostili alla monarchia. Per concludere l'intesa sulle nozze, applicando la prammatica di Carlo III del 1759, il conte di Girgenti doveva sottoscrivere la sua rinuncia alla successione al trono di Napoli in caso se ne fossero verificate le condizioni. E naturalmente lo fece. Il 14 maggio finalmente, sciolti tutti i dubbi, si celebrò il matrimonio in Spagna..." (cfr. Gigi Di Fiore, "L'esilio del re Borbone nell'Italia dei Savoia", Milano, edizione Focus storia (Gruner+Jahr/Mondadori libri), 2015, pag. 108, basato su fonti varie).

 

Negli accordi fra le due dinastie venne previsto quindi che la reggenza del regno spagnolo sarebbe stata affidata ai conti di Girgenti. Probabilmente anche in previsione dell’appoggio spagnolo per un’eventuale impresa di liberazione delle Due Sicilie dai Savoia.

Ma i nemici invece, subito dopo il matrimonio del Conte di Girgenti, riuscirono a far scoppiare in Spagna una rivoluzione (detta “La Gloriosa” o "La Settembrina") con la quale rovesciarono dal trono Isabella II. Ispiratrice di tale rivoluzione dovette essere infatti la fazione avversa all’alleanza Borbone Spagna-Borbone Due Sicilie, ovvero i Savoia con alleati Inglesi, i massoni, i liberali etc. di vari Stati Europei.

           

In questo modo venne fermato il pericolo dell’ascesa del Conte di Girgenti ed il suo probabile sostegno alla causa di Francesco II. A quel punto, perduto il trono spagnolo e rischiando di non vedersi riconosciuta più nemmeno la propria legittimità dinastica, la dinastia dei Borbone Spagna fu costretta a sottomettersi nuovamente e segretamente con gli Stati forti del tempo (Inghilterra e Francia) e riavvicinarsi quindi ai Savoia, per cercare di scendere a patti e sperare di riottenere il trono.

Isabella II fu probabilmente costretta a sottomettersi, innanzitutto abdicando dai suoi diritti al trono (1870). Poco dopo la sconfitta di Napoleone III alla battaglia di Sedan, con la conseguente ritirata delle sue truppe da Roma e l’invasione sabauda della città, segnarono il tracollo definitivo.

Infatti dopo la “Presa di Roma”, venne meno il maggior sostenitore politico di Francesco II ed il suo più grande alleato e padre spirituale, il Beato Pio IX, non poté più continuare ad offrirgli protezione e riparo.

 

In Spagna, poi, siccome l’Infante Alfonso, figlio di Isabella II, era troppo giovane per non lasciarsi influenzare dalla madre, le Cortes spagnole (probabilmente spinte dai Savoia e dai loro alleati) elessero Amedeo di Savoia come nuovo re di Spagna (1871). Fu una punizione dura per i Borbone di Spagna. Ma forse tale smacco fu la premessa per un accordo fra Savoia e Borbone Spagna per le ex Due Sicilie.             I Borbone Spagna, se fossero stati riammessi sul trono spagnolo, avrebbero abbandonato la causa dei Borbone Due Sicilie, ed in cambio i Savoia avrebbero rinunciato ai loro diritti sulla corona spagnola e li avrebbero aiutati per la loro rifondazione al trono?

           

Molto probabilmente, vista la difficile situazione della guerra civile e degli attentati in Spagna, si dovette stabilire un accordo segreto fra i Savoia ed Borbone Spagna, con il benestare di Inghilterra e Francia, intorno al 1870-71 (dopo la caduta dello Stato Pontificio).

Restava il “problema” del Conte di Girgenti. Fino a che fosse stato in vita, attraverso la moglie (che era l’erede al trono, dopo il fratello Alfonso, un ragazzino di 14 anni, fragile e malato), era un pericolo per i nemici di Francesco II. Se fosse salito al trono il cognato minorenne sarebbe diventato il reggente di Spagna (così come era negli accordi per il suo matrimonio), se fosse morto Alfonso e fosse quindi salita al trono sua moglie Isabella di Borbone-Spagna sarebbe diventato re consorte di Spagna.

 

La situazione non poteva durare a lungo. Ed infatti, poco dopo, nello stesso nel 1871, Gaetano, Conte di Girgenti, "si suicidò". Ma fu un vero suicidio, un falso suicidio, usato per nascondere un omicidio?

Probabilmente il Conte di Girgenti, provato e stressato dalle tensioni e dai pericoli, fu spinto al suicidio, oppure “suicidato” apposta (ovvero ucciso), quale pericoloso e potenziale nemico contro i Savoia. La sua morte misteriosa (così come quella del diplomatico duosiciliano Giuseppe Canofari (1790-1872) e tante altre) avvalorano le ipotesi su una probabile congiura. Ad ogni modo poco dopo la morte di Girgenti, nel 1873, Amedeo I, abdicò dal trono spagnolo, ma rinunciando solo per sé stesso ed i suoi discendenti.

Quindi fu proprio la morte del Conte di Girgenti che permise l’attuazione di un tale accordo segreto fra i Borbone Spagna ed i Savoia? Ovvero che i Borbone Spagna furono aiutati a tornare sul trono spagnolo (a loro tolto proprio dai liberali, probabilmente con l'appoggio dei Savoia) in cambio dell’abbandono di qualsiasi sostegno a favore dei Borbone Due Sicilie?

 

Questi avvenimenti segnarono le ultime fasi della vita politica di Francesco II. La sua missione di sovrano, esaurita la possibilità di tornare a regnare, continuò ad esercitarsi nell’interessamento e nella carità che continuò negli anni a nutrire ed esercitare verso il suo popolo.

 

Fra i tanti episodi è famoso quello in cui, quando un’eruzione del Vesuvio distrusse Torre del Greco, Francesco, inviando all’Arcivescovo di Napoli la somma di 800 scudi per aiutare le vittime della tragedia, gli scrisse: "Tutte le lagrime dei sudditi miei ricadono sopra il mio cuore…comunque grande sia la mia catastrofe e meschine le mie risorse, io sono re, e come tale, io debbo l’ultima goccia del sangue mio e l’ultimo scudo che mi resta ai popoli miei.".

           

Ma ormai si apprestava Francesco a consegnare alla storia la sua eredità e la sua successione. Al fratello Alfonso, suo erede dinastico, nel proprio testamento spirituale (1887), scrisse: “Se tu crederai ritenere pel momento il tuo presente titolo, fa che il tuo primogenito prendesse subito quello, che gli appartiene di Duca di Calabria, e quando questi avrà un figlio quello di Duca di Noto dal nascere. Ricordati che quello di Duca di Castro è nostro familiare di primogenito in primogenito”. Infatti il titolo di sovrano delle Due Sicilie (non più usato per la perdita del regno nel 1861), i titoli maggiori che utilizzavano tali sovrani erano quelli di “duca di Parma, Piacenza e Castro e gran principe ereditario di Toscana”. Ma siccome tali titoli erano puramente onorifici (in quanto Carlo di Napoli aveva dovuto rinunciare al Ducato di Parma e Piacenza, ed insieme rinunciare anche ai suoi diritti di successione al Granducato di Toscana) e siccome esisteva ufficialmente il Duca di Parma e Piacenza (nonché Stati Annessi), così anche come vi era il Granduca di Toscana, allora Francesco II ebbe la delicatezza di non usare più il titolo di Re delle Due Sicilie, ma volle che il titolo che dovessero utilizzare i suoi successori dinastici fosse quello di “Duca di Castro”. Ed è per tale ragione che tale titolo si è tramandato fino all’attuale  Duca di Castro.

 

Dopo gli ultimi anni vissuti nella pienezza della fede, sempre certo della giustizia divina, trascorrendo nell’umiltà la sua vita, Francesco continuò però sempre a dimostrare quella dignità che è propria di chi non ha altre ambizioni che l’amor di Dio. I Savoia, dopo aver confiscato tutti i beni di Francesco e della sua dinastia, avevano a lungo continuato a lusingare Francesco II di restituirgli quanto privato, ma alla sola condizione di rinunciare ad ogni pretesa sul trono delle Due Sicilie.

Ma egli non volle mai piegarsi, lasciando emblematica e solenne la sua risposta: "Il mio onore non è in vendita".

 

Infine, ad imitazione del Cristo Re, che muore sulla croce perdonando i suoi assassini, Francesco, umilmente, nel suo testamento volle scrivere: «Ringrazio tutti coloro che mi hanno fatto del bene, perdono a coloro che mi hanno fatto del male e domando scusa a coloro ai quali ho in qualche modo nuociuto» (A. Insogna, “Francesco II Re di Napoli”, op. cit., pag. 334).

 

Francesco si spense nell’inverno del 1894. Alla sua morte Matilde Serao (1856-1927) scrisse in un celebre articolo: “Don Francesco di Borbone è morto, cristianamente, in un piccolo paese alpino, rendendo a Dio l’anima tribolata ma serena. Giammai principe sopportò le avversità della fortuna con la fermezza silenziosa e la dignità di Francesco secondo. Colui che era stato o era parso debole sul trono, travolto dal destino, dalla ineluttabile fatalità, colui che era stato schernito come un incosciente, mentre egli subiva una catastrofe creata da mille cause incoscienti, questo povero re, questo povero giovane che non era stato felice un anno, ha lasciato che tutti i dolori umani penetrassero in lui, senza respingerli, senza lamentarsi; ed ha preso la via dell’esilio e vi è restato trentaquattro anni, senza che mai nulla si potesse dire contro di lui. Detronizzato, impoverito, restato senza patria, egli ha piegato la sua testa sotto la bufera e la sua rassegnazione ha assunto un carattere di muto eroismo... Galantuomo come uomo e gentiluomo come principe, ecco il ritratto di Don Francesco di Borbone” (P. Gaudenzio Dell’Aja (francescano), 1984, pag. 26)

Ma le parole più emblematiche furono: “Colui che era stato o era parso debole sul trono, travolto dal destino… colui che era stato schernito come un incosciente mentre egli subiva una catastrofe creata da mille cause incoscienti… ha lasciato che tutti i dolori umani penetrassero in lui senza respingerli, senza lamentarsi: ed ha preso la via dell’esilio e vi è restato 34 anni, senza che mai nulla si potesse dire contro di lui.”

 

L’eredità politica di Francesco finì poco dopo al centro di altre trame e polemiche.

Infatti i Savoia intervennero nel 1899-1900 nelle trattative per il matrimonio del Principe Carlo Tancredi, figlio di Alfonso, Conte di Caserta, con la Principessa delle Asturie, Maria de la Mercedes, erede presuntiva al trono spagnolo.

E furono i Savoia ad imporre ed ottenere dalla regina reggente di Spagna che il promesso sposo rinunciasse nel 1900 a qualunque diritto dinastico, pretesa e onorificenza duosiciliana.

Il cosiddetto “Atto di Cannes”, il documento che firmò Carlo Tancredi per rinunciare ai suoi diritti dinastici (in osservanza alla Prammatica Sanzione del 1759) fu infatti però preteso ed ottenuto anche dai Savoia in base agli accordi del 1870/74 e per la rifondazione del trono spagnolo in favore dei Borbone Spagna. Tale atto, quindi, fu anche, tra l’altro, l’ennesima trama contro i Borbone Due Sicilie da parte dei loro nemici, appoggiati, anche questa volta, dai Borbone Spagna.

           

L’Atto di Cannes nel 1900 fu infatti un atto necessario, richiesto e dovuto, perché servì al Principe Carlo Tancredi per sposare l’erede al trono spagnolo, uscendo del tutto dalla R. Casa delle Due Sicilie, ma i nemici dei Borbone lo usarono anche per spezzare qualsiasi ipotesi di sostegno della Spagna agli esuli eredi di Francesco II.

           

In seguito, poi, durante il regime di Francisco Franco la "fazione spagnola" se ne servì per far scoppiare la "disputa duosiciliana", sostenendo l’Infante Alfonso Maria, figlio di Carlo Tancredi, verso pretese illegittime (in aperto e totale contrasto con le leggi dinastiche della R. Casa delle Due Sicilie) ed allontanando in questo modo (e definitivamente) un potenziale rivale al trono di Spagna (che Franco avrebbe potuto scegliere invece di Juan, Conte di Barcellona, l’erede dinastico spagnolo). Ma la questione, purtroppo, non si risolse lì e da allora dura incresciosamente ancora oggi, anche se nel tempo molti Principi, Capi di Case Reali e Capi di Stato, nonché Sua Santità Papa Giovanni Paolo II, riconobbero la legittimità della discendenza del Principe Ranieri, erede dinastico di Alfonso, Conte di Caserta.

 

Ma ciò che invece più conta è che dopo la sua morte di Francesco furono la sua famiglia ed il popolo, quello dell’ex regno perduto, che ne conservarono l’affettuoso, commosso e sentito ricordo, unitamente alla fama della sua fede e delle sue gesta. Benché tutto ciò, i vincitori prima ed i loro eredi culturali dopo, tentarono in ogni modo di cancellare, sminuire e denigrare. E con lui l’intero popolo meridionale.

 

Eppure Francesco II, nel suo proclama dell’8 dicembre 1860, ricorrenza di Maria SS. Immacolata, protettrice delle Due Sicilie, aveva già lasciato il monito al suo popolo ed a coloro che li avevano perseguitati: “Traditi egualmente ed egualmente spogliati noi ci risolleveremo dalle nostre disgrazie. Il tempo delle nequizie non ha durato mai lungamente, nè sono eterne le usurpazioni...”.

           

Infatti Francesco fu il testimone degli ultimi, dei perseguitati, degli oppressi, delle vittime delle guerre, soprattutto di quelle ingiuste e per motivi ideologici e razzistici (i meridionali “razza inferiore”). Fu l’esempio di chi perde tutto (laddove lui stesso perse il regno più importante, ricco e florido d’Italia e fra i primi d’Europa), di chi è costretto all’esilio, di chi viene infangato, perseguitato e bullizzato (perfino sua moglie ne fu vittima, oggetto addirittura dei primi fotomontaggi sconci e volgari del tempo!).

 

In questa nostra era, dove drammaticamente evidenti sono le sofferenze di milioni di persone costrette a fuggire dai propri Paesi a causa di guerre e di persecuzioni, trasformati in emigranti forzati, troppo spesso vittime anche del disprezzo e dell’ostilità di coloro che dovrebbero fraternamente accoglierli, Francesco si pone come l’esempio per eccellenza, profugo fra i profughi, emigrante fra gli emigranti, vittima e testimone degli orrori del mondo e della forza della fede in Cristo, per sopportare e vincere, forte in Dio, tutte le ingiustizie e tutto il dolore di questi martiri.

 

Ma la figura di Francesco non può e non deve essere oggi e né mai utilizzata per fare una critica alla storia, per riscrivere l’Unità d’Italia o contestare lo Stato italiano. Gli stessi Borbone Due Sicilie hanno riconosciuto i diritti della nazione italiana, così come la Repubblica Italiana ha loro riconosciuto i diritti di Casa Reale (ma ovviamente non quelli di Dinastia con diritti al trono), al punto di riconoscere le onorificenze cavalleresche che essi rilasciano, come quelle dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio e dell’Ordine di San Gennaro.

 

Oggi, infine, il desiderio di S.A.R. Carlo di Borbone, Duca di Castro, della Fondazione “Francesco II delle Due Sicilie”, attore nel processo di beatificazione e canonizzazione di Francesco, dei Cavalieri degli Ordini cavallereschi della R. Casa e dei membri delle tante associazioni culturali e spirituali, così come tutti i devoti ed i fedeli, fino ai semplici simpatizzanti del defunto sovrano, attualmente riconosciuto come Servo di Dio, è quello che finalmente sia restituito a Francesco il suo tesoro più grande, quello vero, eterno e prezioso che giammai perse: la sua fede nel Signore.

Ed è proprio per questo che tutti noi crediamo che la sua vita, costellata delle sue meritorie opere, ardente della sua fede e consacrata alla sua cristiana missione di sovrano, in sequela Christi, ovvero al servizio di Dio e del suo popolo, fino all’estremo sacrificio, sia per tutti i fedeli la prova più lampante delle virtù eroiche di Francesco, che subì il lungo e tormentato calvario, in odium fidei, quale vero martire e quale esempio struggente e meraviglioso di cristiano.

 

 

                                                                                                                                                                                         

 

 

 

 

 

FONTI BIBLIOGRAFICHE ED ARCHIVISTICHE ESSENZIALI:

 

Bibl.: Durelli, Francesco, Degli atti governativi di Francesco II., re delle Due Sicilie, nel primo anno del suo regno. Italia, 1861; N. Nisco, Francesco II re, Napoli 1877; A. Insogna, Francesco II re di Napoli, Napoli 1898; B. Croce, Gli ultimi borbonici, Napoli 1926, estr. dagli Atti della R. Accademia di scienze mor. e polit.; P. C. Ulloa, Un re in esilio (con prefazione di G. Doria), Bari 1928; A. Scirocco, Dalla seconda restaurazione alla fine del Regno, in Storia del Mezzogiorno, IV, Roma 1994, pp. 763-769; G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste-Roma 1863-1869 (ristampa Napoli 1964); Buttà, Giuseppe. I Borboni di Napoli al cospetto di sue secoli. Italia, Tipografia del Giornale la discussione, 1877; N. Nisco, Gli ultimi trentasei anni del Reame di Napoli (1824-1860), III, Napoli 1894; Menzione, Vincenzo. Per S.M. Francesco II nel 1. anniversario della sua morte. Italia, M. Gambella, 1896; A. Insogna, F. II re di Napoli. Storia del Reame delle Due Sicilie 1859-60, Napoli 1898; R. De Cesare, La fine di un Regno, Città di Castello 1909; P. Calà Ulloa, Un re in esilio. La corte di F. II a Roma dal 1861 al 1870, a cura di G. Doria, Bari 1928; A. Saladino, Il tramonto del Regno delle Due Sicilie nella corrispondenza di F. II e Carlo Filangieri, Napoli 1960; Id., L'estrema difesa del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1960; R. Moscati, La fine del Regno di Napoli, Firenze 1960; H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, Milano 1968; per la bibl. fino al 1970 vedasi anche in Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di A.M. Ghisalberti, II, Firenze 1972, pp. 311 s., 351-361; F. Leoni, L'attività diplomatica del governo borbonico in esilio (1861-1866), Napoli 1969; J.P. Garnier, Nascita dell'Italia: l'ultimo re di Napoli, Napoli 1971; A. Albonico, La mobilitazione legittimista contro il Regno d'Italia: la Spagna e il brigantaggio meridionale postunitario, Milano 1979; P.G. Jaeger, F. II di Borbone. L'ultimo re di Napoli, Milano 1982; G. Coniglio, I Borboni di Napoli, Varese 1983; P. Gaudenzio Dell’Aja (francescano), “Per la traslazione in Santa Chiara di Napoli dei resti mortali degli ultimi Sovrani delle Due Sicilie”, Reale Deputazione del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, Napoli, 1984; Il Diario di F. II di B. 1862-1894, a cura di A. Gentile, Napoli 1988; Di Fiore, Gigi. I vinti del Risorgimento: storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli. Italia: UTET libreria, 2004; Di Fiore, Gigi. Gli ultimi giorni di Gaeta. Italia: Rizzoli, 2012; R. de Mattei, M. Viglione, C. Siccardi, Don M. Tranquillo, E.a Bianchini Braglia, Francesco II di Borbone, Il Re Cattolico, Ed.: Centro studi sul risorgimento e gli Stati preunitari, Modena, 2015; Di Fiore, Gigi. La nazione napoletana: Controstorie borboniche e identità suddista. Italia: UTET, 2015; di Fiore, Gigi. Briganti! Controstoria della guerra contadina nel sud dei Gattopardi. Italia: UTET, 2017; di Fiore, Gigi. L'ultimo re di Napoli: L’esilio di Francesco II di Borbone nell’Italia dei Savoia. Italia: UTET, 2018; Don Luciano Rotolo in un libro appena uscito, Francesco II di Borbone-Due Sicilie. Un Re da condannare o da riscoprire? Edizioni Viverein, Monopoli 2019; G. Grimaldi, saggi sul diritto dinastico delle Case e Dinastie Reali dei Borbone delle Due Sicilie e dei Borbone Parma (in Annuario della Nobiltà Italiana, XXXII^ ediz., 2014 e XXXIII^ ediz., 2015-2021; Ritratto storico di Francesco II Re delle Due Sicilie, scritto nel 1864 da José Joaquin Ribó, ed. Ali Ribelli Edizioni, 2021; Sonetti, S., La guerra per l'indipendenza: Francesco II e le Due Sicilie nel 1860, Italia, Rubbettino Editore 2021; Enciclopedia Treccani, voce “FRANCESCO II di Borbone, re delle Due Sicilie” (Alfonso Scirocco - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997);

 

 

Archiv.: L’Archivio Borbone (acquistato dallo Stato italiano): i fascicoli relativi al regno di Francesco II vanno dal n. 1132 al n. 1783 (dal n. 1201 riguardano l'attività svolta a Gaeta e nell'esilio), dei quali i fascicoli 1132-1144 riguardano la corrispondenza con ministri, diplomatici, militari, i fascc. 1152-1154 relativi alla Sicilia, i fascc. 1155-1199 riguardanti la segreteria particolare del re. Il fasc. 1098 contiene la corrispondenza di F. mentre era duca di Calabria con i familiari e l'istitutore G.A. Della Spina. Nel fasc. 1662 sono appunti ed esercitazioni di F. sulle varie discipline studiate. Si veda anche l'Almanacco reale del Regno delle Due Sicilie per gli anni 1836-1859. Per documenti di archivi non solo italiani cfr. G. Dell'Aja, Il Pantheon dei Borboni in S. Chiara di Napoli, Napoli 1987.

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