(di Don Ferdinando Fodaro)

 

 

Prima di narrare la vita di Francesco II, ultimo re di Napoli, è doveroso fare una premessa teologica che diventa chiave di lettura della sua vicenda umana.

La mentalità contemporanea considera vinti coloro che in nome di un ideale scelgono di andare controcorrente; i santi sono per eccellenza dei vinti, hanno rimesso la loro vita nelle mani di Dio e in nome della fede hanno scelto la via della mitezza e della pazienza, dell’umiltà, della purezza di cuore, della compassione, della misericordia e della non violenza. La santità si oppone al delirio di onnipotenza che fa sentire l’uomo al disopra di Dio; essa è una via per tutti che comporta l’impegno a lasciarsi guidare dall’amore per il Padre di Gesù Cristo e per il prossimo, riconoscendosi figli e fratelli. La santità è un cammino di conformazione alle Beatitudini, esse descrivono la vita buona fondata sulla perennità del Vangelo e sulla conformazione a Cristo Gesù.

Francesco II delle Due Sicilie nella sua vita ha avvertito e concretizzato questa chiamata universale alla santità facendo fruttificare la grazia del Battesimo e lasciandosi plasmare quotidianamente dall’azione dello Spirito Santo.

 

 

Introduzione

 

I fatti e i personaggi del passato vengono descritti a partire dall’interpretazione che i cronisti ne hanno dato. Succede così che, quando si narra la storia di un popolo, di una nazione o di una guerra, la redazione degli eventi è fatta dai vincitori. Il punto di vista dei vinti è quasi del tutto ignorato o adombrato. Chi studia l’impero romano legge i fasti e le conquiste di Giulio Cesare e non certamente le ingiustizie e i soprusi operati dall’imperatore, dai suoi generali o dai semplici soldati. Raccontare la storia dalla parte dei vinti non è un’impresa semplice. Essa deve scontrarsi con il pregiudizio che si è trasformato in pensiero comune. Così quando si studia il risorgimento italiano, da qualsiasi libro diffuso nelle scuole pubbliche e nelle università, l’impresa dell’unificazione d’Italia viene celebrata come un atto di liberazione e di riscatto dei popoli meridionali ad opera dei piemontesi. Eppure, tra il XVIII e il XIX secolo, il Sud Italia era uno degli snodi economico-culturali più importante d’Europa. I vincitori, per avvalorare le loro ragioni, descrissero Napoli come crogiuolo di male in cui vigeva un mal governo e da cui si generò ogni forma di criminalità. I vinti, invece, sanno che la dinastia borbonica profuse il suo impegno promuovendo la ricerca e il progresso attraverso una politica sociale attenta ai bisogni dei poveri e alla tutela degli operai. Mentre i protagonisti ufficiali del risorgimento erano massoni mossi da interessi economici, i Borboni erano cattolici ferventi, fedeli alla Chiesa e al loro popolo.

Questa premessa è necessaria per comprendere la vicenda umana di Francesco II di Borbone, ultimo Re di Napoli e delle Due Sicilie. Di lui gli storici diranno che era troppo giovane per regnare e per questo si fece sopraffare dagli eventi e strumentalizzare dai suoi collaboratori. La “contro storia”, quella scritta dai vinti, invece, sa che “u’ Re nuostru”, come veniva chiamato dagli abitanti del Sud Francesco II fu un uomo di profonda fede e carità, preferì abbandonare il trono piuttosto che esporre i napoletani agli orrori della guerra, dell’occupazione e non della liberazione, che già aveva affamato il Regno seminando violenza in ogni città e villaggio.

 

 

Infanzia, fanciullezza e gioventù: la formazione umana e spirituale del futuro Re 

 

Nato il 16 gennaio 1836 a Napoli da Ferdinando II e da Maria Cristina di Savoia, beatificata il 25 gennaio 2014 e di cui è in corso il processo di canonizzazione, Francesco rimase ben presto orfano, pur acquisendo tutta la grazia della madre. Suo padre sposò in seconde nozze Maria Teresa d’Asburgo, che si preoccupò della formazione umana, culturale e religiosa del bambino. Affidato alla cura dei Gesuiti, che contribuirono a creare nel futuro Re un animo profondamente religioso e avverso alla guerra, Francesco II cresceva buono e mite, un credente impegnato nell’ amore a Dio e ai fratelli.

Ferdinando II, anche lui uomo di fede formato da monsignor Olivieri, aveva costruito la sua vita sui valori evangelici, acquisendo la consapevolezza che il bene del popolo viene prima di ogni altra cosa, anche prima di se stessi. Durante il suo regno aveva promosso la riduzione degli sgravi fiscali e lottato la corruzione che albergava a corte. Dimostrò la sua magnanimità verso i suoi nemici, concedendo la grazia e riducendo la pena ai condannanti per insurrezione; permise, inoltre, il ritorno degli esuli in patria. Dunque, fu un uomo profondamente pervaso dal senso cristiano della vita che non amava i fasti della corte e ricercava oltre che la preparazione anche la moralità tra i suoi ministri e dignitari.

Francesco II cresceva in questo ambiente cristiano in cui la pratica delle virtù si affiancava alla carità. Nel 1846 una crisi economica commerciale sconvolse l’Europa, senza risparmiare il Regno delle Due Sicilie; il liberalismo, la dottrina politica ed economica che riconosce all’individuo un valore assoluto e autonomo rispetto a quello della società e dello Stato, era la nuova dottrina che si andava diffondendo.

In quell’anno, alla morte di Papa Gregorio XVI, veniva eletto Sommo Pontefice Giovanni Mastrai – Ferretti, Pio IX. La causa  liberale, che sembrava essere benedetta e avallata dalla Chiesa, si faceva strada nei ceti popolari. Nel 1848 scoppia la prima guerra d’indipendenza; in tutto lo stivale i moti rivoluzionari di matrice repubblicana rivendicavano la liberazione dall’occupazione straniera.

 

 

Inizio del regno

 

Intanto nel 1859 Francesco II, a ventitré anni, sposa per procura Maria Sofia di Baviera, figlia del Duca Massimiliano, sorella di Elisabetta, moglie dell’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Il matrimonio sanciva una nuova alleanza per i Borbone. La futura regina da subito conquistò l’amore del popolo, che la acclamava come l’angelo della bellezza venuta da nord. Francesco e Maria s’incontrano a Bari il 3 febbraio del 1859 dove la celebrazione liturgica sancisce definitivamente il matrimonio.

Il 7 marzo, giorno in cui i giovani sposi arrivano a Napoli, le condizioni di salute di Ferdinando II peggiorano; il corso della malattia porta il re alla morte il 22 maggio di quell’anno. Francesco II saliva al trono di Napoli a soli ventitré anni pienamente cosciente delle responsabilità e delle difficoltà del suo compito. Il giovane re eredita una grande capitale europea, un regno economicamente e commercialmente florido. E in questo contesto che Cavour, subdolo stratega sabaudo, per risanare i conti del Piemonte architetta l’attacco al Regno delle Due Sicilie che al tempo godeva di un esercito forte e di una flotta navale consistente.

La storia, raccontata dalla parte dei vinti, mostrerà che non si trattò di una liberazione ma di un occupazione. I Borbone non erano stranieri ma napoletani e l’unico intento era quello di mettere le mani sul banco di Napoli. La massoneria, attraverso la corruzione degli ufficiali napoletani, riuscì a destituire il legittimo sovrano, amato dal suo popolo.

Francesco II aveva ereditato un regno abbastanza tranquillo. L’organizzazione dello Stato era così solida che il giovane re, poco esperto del governo, poteva dedicarsi costantemente a opere di bene verso i ceti meno abbietti. Il re, sulla scia del padre, nel suo unico anno di regno mise in pratica una politica governativa attenta agli ultimi: concesse tante amnistie e si preoccupò della vita nelle carceri; promosse il commercio accordando franchigie daziarie e dimezzando l’imposta sul macinato; abolì le tasse sulle case dove abitava la povera gente. Favorì la nascita di nuovi monti di pegni e casse di prestito per andare incontro agli indigenti; fece distribuire, a prezzo, grano alle popolazioni colpite dalla carestia. Francesco II incentivò la pubblica istruzione e riqualificò l’urbanistica della capitale e i collegamenti con essa. Approvò leggi sugli acquedotti e sui bacini idrici del regno per favorire i contadini e la salute pubblica.

 

 

La fine del regno

 

Intanto il resto d’Italia era in fermento; la conquista del regno di Piemonte avanzava. Cavour per l’occupazione del sud sceglie il gran maestro massone Garibaldi, uomo guerrafondaio, che l’11 marzo del 1860 attracca con sue le truppe a Marsala da dove inizia la sua risalita verso Napoli. Il nuovo corso degli eventi fu favorito oltre che dalla corruzione dei generali borbonici anche dalla mancata emanazione della riforma agraria così, promettendo la terra ai contadini, i garibaldini tra furti, dissacrazioni di chiese e conventi e stupri riuscirono nella loro missione.

Il 6 settembre del 1860 Francesco II insieme alla dolce Maria Sofia, dopo aver licenziato la corte, si imbarca verso Gaeta insieme a coloro che gli rimasero fedeli. Mentre il Re parte, il generale Liborio Romano telegrafa a Garibaldi aprendogli la strada verso la conquista della capitale. I vincitori descrivono la decisione del giovane re come la dimostrazione della sua debolezza e rassegnazione, quasi a voler lasciare andar le cose secondo la volontà degli altri. Francesco II fu vittima di un complotto e del tradimento; comprese che nulla avrebbe potuto fare contro tutto questo male; senza perdere l’onore, da uomo di fede, preferì ancora una volta mettere al primo posto il bene dei fratelli. Per evitare inutili spargimenti di sangue scelse la via della non violenza, proteggendo così, fino alla fine, il suo popolo. Francesco II, dunque, sacrifica il suo nome e i diritti della corona per salvare la capitale dagli orrori della fame.

La storiografia unitaria si fece beffa del re appellandolo col soprannome di “Franceschiello”; eppure Francesco II testimoniò con la vita la sua fede. Rifiuto di compromettersi col male e con la corruzione, pagando di persona il prezzo dell’esilio. Scelse la via diplomatica attendendo che l’Europa risolvesse la controversia ma il mutato scenario economico-politico, che vedeva Inghilterra e Francia diventare sempre più potenti, non permetteva di accettare il sogno d’indipendenza e non belligerante che Francesco aveva ereditato dal padre Ferdinando II.

Furono giorni tremendi, la fame e la sofferenza si facevano sentire sia per lui che per gli ufficiali che si strinsero attorno a lui durante l’assedio di Gaeta. Insieme a Maria Sofia, che si adoperò come infermiera e donna di consolazione, con audacia e coraggio, seppe dar prova delle sue capacità di governo e della sua prossimità alla gente. Ogni giorno si prendevano cura dei feriti e dei moribondi. I reali condivisero gli stenti e la fame, la paura e l’angoscia dei loro sudditi, illuminando tutta quella sofferenza con la loro speranza. Carità, abnegazione, senso del dovere, devozione a Dio e ai fratelli, sacrifico: questi i tratti distintivi che accompagnarono sempre Francesco II e Maria Sofia.  

I nemici si accanirono contro di lui. Il re con dignità decise di porre fine a tutte quelle vittime innocenti, provocate dall’esercito sabaudo guidato dal generale Cialdini, fra le lacrime dei soldati, degli ufficiali e il popolo; i reali, il 13 febbraio del 1861, lasciarono Gaeta e si imbarcarono per Roma, dove il Papa Pio IX era pronto ad offrigli asilo ricambiando così l’ospitalità, avuta per dodici anni, durante la proclamazione della Repubblica Romana. Il legame con la sua terra fu un vincolo forte che non lo lasciò mai; non si dimenticò mai dei napoletani, non si dimenticò mai del suo popolo. Nel 1862 quando il Vesuvio distrusse parte della sua Città, da Roma inviò una grossa somma di denaro alla popolazione più povera.

 

 

Roma e poi Arco di Trento

 

Il re napoletano, che era stato definito un bigotto dai suoi nemici, visse la prima parte del suo esilio protetto dalla Chiesa, che lui aveva a sua volta amato e protetto. Il principio ispiratore del suo regno era la fede cristiana. Nella capitale della cristianità, continuando a parlare in dialetto napoletano, iniziava la sua vita riservata e riflessiva. Fu un uomo incapace di portare rancore, un uomo d’incrollabile fede, un uomo consumato dal terrore della responsabilità che assisteva impotente alle ingiustizie diplomatiche europee e alle azioni dell’esercito sabaudo nel Sud Italia.

A Roma, col passare del tempo, si ritiravano le famiglie della nobiltà napoletana, gli esuli e centinaia di uomini e donne meridionali che continuavano a riconoscere in Francesco II il loro Re che ricostituisce, se pur fuori dal territorio nazionale, il Parlamento. Non furono giorni facili e sereni; i problemi familiari con la regina madre, gli scontri nella corte; la legge Pica che consentiva, senza scrupoli lo stermino dei briganti; le sofferenze fisiche si andavano ad aggiungere a quelle morali; l’avversione verso i Borbone da parte dei comitati unitari; la fine dei rapporti diplomatici. La permanenza nella Città eterna si stava trasformando in un calvario e il processo d’unificazione d’Italia continuava diritto verso la futura capitale.

Il nostro re inizia a rassegnarsi del fatto che non avrebbe mai più rivisto Napoli né potuto ricostruire il regno, così come gli aveva profetato San Giovanni Bosco nel loro incontro romano. Alla morte della matrigna, Maria Teresa d’Asburgo, il 21 aprile del 1870 Francesco II, come un qualsiasi altro privato cittadino, lasciò per sempre Roma e il suolo italiano. Il 23 aprile arriva a Marsiglia da lì si diresse verso Praga dove poté riabbracciare la sua Maria Sofia. Iniziarono così a viaggiare tra le grandi capitali europee, a dedicarsi all’arte, alla preghiera e a continuare a preoccuparsi dei poveri.

Intanto, con la breccia di Porta Pia, anche lo Stato pontificio viene annesso al regno d’Italia. Francesco II, che vive tra Parigi, l’Austria e la Baviera, continua a seguire gli avvenimenti e soprattutto non fu mai dimenticato dai suoi sudditi che continuavano a chiamarlo “u’ Re nuostru”. Sorretto dalla sola fede cattolica e dall’amore di Maria Sofia, l’ex re delle Due Sicilie affronta tutte le fatiche dall’esilio con serenità. Da anni ammalato di diabete mellifluo, il dolore non gli dava tregua; per potersi curare dovette trasferirsi ad Arco di Trento dove visse con discrezione.

Ad Arco, Francesco II passava giornate intere intrattenendosi in colloqui spirituali con i sacerdoti del posto. Alla vigilia di Natale del 1894 le sue condizioni cliniche si fecero gravi; in quei giorni chiese più volte i sacramenti; alle 2.20 del 27 dicembre del 1894 a cinquantotto anni rese serenamente l’anima a Dio.

 

 

Conclusioni

 

I tratti biografici di Francesco II di Borbone Re delle Due Sicilie, il suo animo e la sua tempra, oltre a raccontare la sua vicenda storica con la voce e gli occhi dei vinti, descrivono bene i popoli del Sud Italia. Il 1861 è l’anno in cui nacque la questione meridionale. Il Sud, una terra florida per l’agricoltura e per l’allevamento, dove erano sorte industrie ben consolidate, ora si vedeva privato delle sue risorse. La questione meridionale è trattata come un problema fino ai giorni nostri. Sicché i meridionali, che avevano resistito all’invasione unitaria cercando di difendere la loro terra, vennero etichettati come briganti, perseguitati e trucidati; nacque da quei fatti, come dimostrano gli orribili studi di Lombroso, il mito che i meridionali sono geneticamente delinquenti. Le industrie borboniche furono chiuse per essere potenziate quelle del nord. I contadini, a cui la promessa della terra non fu mai mantenuta, dovettero emigrare per poter permettere alle loro famiglie di vivere.

È storia di oggi quella che vede migliaia di meridionali continuare a partire in cerca di condizioni di vita migliore e dare lustro del loro acume in ogni parte del mondo. 

 

 

 

 

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