La santità di Francesco, un dono

(di Don Nicola Bux, Teologo, già Consultore della Congregazione per le Cause dei Santi)

 

 

Il pregiudizio risorgimentale e poi marxista verso la monarchia, non consentirebbe di immaginare ad un esponente di una Famiglia Reale di salire alla gloria degli altari.

A questo si aggiunga il convincimento che la forma di reggimento democratico sia migliore, perché corrispondente al bene comune. In verità, il logoramento a cui è stata sottoposta tale forma, sconsiglia ormai di credervi.

Do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne” (Col 1,24). Questa spiegazione che San Paolo ha dato della sua vita perigliosa può essere valida anche per la vita di Francesco II di Borbone. Francesco II brilla per l’educazione religiosa ricevuta, l’esercizio delle virtù in grado eroico, a cominciare dalla fede, la sua devozione vissuta, come dice San Francesco di Sales nella Filotea, secondo il suo stato. La sua vita fu spesa nella costante pratica spirituale, nella ricerca della santità personale, e del bene dei suoi sudditi. Con spirito di abnegazione, lasciò Napoli onde risparmiarle le distruzioni della guerra.

 

Seppe unire umiltà e fortezza nella difesa, amore cristiano per i nemici, fino a morire povero in esilio. Egli sentiva il dolore innanzitutto per i peccati del mondo e nel mondo; così ha espiato le sofferenze del secolo XIX: quelle fisiche come l’esilio, quelle morali, come il sospetto, le calunnie. Come Cristo è stato considerato castigato, umiliato, caricato dei peccati. Infatti, bisogna sapere che tra cielo e terra c’è un mediatore, unico di per sé, Gesù, ma che associa a sé quanti si lasciano attrarre: è una preghiera incessante che ha una forza umanamente inconcepibile, che ha un effetto ben più profondo delle manifestazioni no global o pro pace.

 

Così un santo è chiamato a cambiare l’uomo. Francesco II di Borbone ha mostrato che si può fare molto per gli altri, operando, pregando e soffrendo.

 

Tutto questo non è meraviglioso, mirabile, da ammirare, cioè ‘miracolo’ permanente? L’uomo è fatto per chiedere miracoli, non c’è da scandalizzarsi. Se l’uomo non chiede miracoli c’è da aver paura, perché vuol dire che presume di essere Dio. Se l’uomo non dice nel suo cuore: - Io e Dio siamo soli al mondo - non avrà quiete.  E’ la pietà del popolo che crea i santi, veri contestatori a partire da sé stessi. Ma questo non accade facilmente, perché la Chiesa, come una madre, è rigorosa innanzitutto con i suoi figli e li corregge; così siamo garantiti da imbonitori e prestigiatori.

 

Essere santo è un martirio: basta guardare Giovanni Paolo II. Un celebre santo ortodosso, Nilo Cabasilas annota che “nulla più dei martiri è prossimo ai misteri di Cristo: essi hanno in comune con Cristo il corpo e lo Spirito, il tipo di morte e tutto. Mentre erano in vita Cristo era in loro, dopo la morte non abbandona le loro spoglie. E’ unito alle anime, ma è congiunto e commisto anche a questa polvere sorda; anzi, se è dato di trovare e di possedere il Salvatore in qualcuna delle realtà visibili, ciò è possibile proprio nelle ossa dei santi” (La vita in Cristo, V,2).

 

Questa fede è il fondamento di quel monumento spirituale che i cattolici sono chiamati ad erigere a Francesco II, mettendo cioè la loro parte, il loro sacrificio quale contributo all’incessante trasformazione dell’umanità.