Li amò sino alla fine: Settimana Santa e Pasqua 2016 con Francesco II

(di Don Massimo Cuofano)

 

Il suo modello è Gesù. Nella biografia di Francesco II si legge della sua prima Pasqua come Re, vissuta intensamente, e che sarebbe stata anche preludio di un cammino doloroso e difficile, che avrebbe poi contraddistinto l'esistenza di quest'uomo di Dio. Certamente la Pasqua per Francesco non era solamente un seguire prassi e consuetudini ma era proprio confermarsi pienamente a quell'immagine, diventata per lui fondamentale nella sua vita di Re, quella del Cristo Re e Pastore venuto non per essere servito ma per servire. Bello questo suo immedesimarsi a Gesù, che in quell’ora fatale della sua vita raccolse intorno a sé i suoi, e lavò loro i piedi. "Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi". Il messaggio portante di quest’azione è proprio quello di farsi servi gli uni degli altri.

 

Certamente nella mente del giovane Re, addentrato non solo nella cultura del mondo, ma in maniera speciale in quella teologica e spirituale, restano impresse quelle parole di Gesù: <<chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita>>. Dunque il suo essere Re, cioè “grande nel mondo”, significava proprio questo farsi servitore del suoi popolo, specialmente di coloro che maggiormente si trovavano in difficoltà, dei più poveri. E questo essere “servo”, non diventava solamente un gesto virtuale o apparente, ma doveva diventare reale nella sua opera di Re, nelle sue scelte.

 

Proprio portando in sé questo pensiero profondo, quel Giovedì Santo del 1860, recandosi alla Messa nella Basilica Reale di San Francesco di Paola, egli stesso volle lavare i piedi ai più poveri. Con questo gesto significativo, egli iniziò e visse quella settimana santa, partecipando vivamente e con cuore alle diverse celebrazioni. Ma iniziò anche uno stile di vita, al quale restò fedele fino in fondo. Con questo gesto egli abbracciò una scelta di vita, che sarebbe diventata costante e viva nella sua esperienza di Re cristiano e di uomo. Seguire in tutto, anche se questo costava, l’esempio del Cristo.


L'Eucarestia fondamento della sua fede

 

Francesco II, poi, è stato un innamorato dell’Eucarestia. Questo è il Sacramento della piena comunione di Dio all’umanità, il Sacramento che ci rende fortemente tesi verso l’altro. Quanta forza ha trovato nell’Eucarestia, e nella sua vita di cristiano la Messa è stato il centro della sua esistenza. Per lui il precetto domenicale è più importante di tutto, e anche nel tempo della guerra la sua ansia è stata sempre quella di mettere al primo posto Dio, perché potesse poi con amore sincero amare il Prossimo. Quindi possiamo ben comprendere che valore altissimo ha avuto quel Giovedì Santo per lui, quel giorno speciale nel quale Cristo Gesù ha costituito il Sacramento Eucaristico, e insieme il Sacerdozio Cattolico. Dopo aver lavato i piedi dei suoi figli più cari, i poveri, partecipò vivamente al Sacrificio di Cristo sull’altare, e con la sua gente si fece pellegrino verso le chiese napoletane, per adorare Gesù nel Sacramento. Il suo pellegrinaggio, che divenne poi concreto nell’incertezza dell’esilio, fu sempre verso la sua sola speranza, Gesù, che non gli avrebbe mai fatto mancare la sua forza e il suo coraggio.

 

Seguire Gesù divenne ancora più concreto nell’abbraccio della Croce. Seguì l’amara passione del Venerdì Santo, facendo suo l’invito di Gesù. <<Chi vuole essere mio discepolo, prenda la sua croce e mi segua, ogni giorno>>. In queste parole di Gesù torna forte quel comando imperativo: dare la vita! Cioè seguire Gesù significava “fare quello che lui ha fatto”.


Dunque l’essere umile, disponibile, generoso, questo amare sempre, diventa per Francesco II un’urgenza, una necessità di vita, che non si spegne neppure nelle prove e nelle difficoltà. Si sente proprio chiamato, come Re cristiano, a fare sua l’ansia stessa di Gesù, Re e Pastore, che si abbassa verso l’uomo, per amare e servire l’uomo.
Diventano segni concreti, allora, i gesti di Francesco II, di quest’ansia di bene, vissuta da Re, ma anche nel suo esilio, nel silenzio, nel nascondimento. Non si conoscono, forse, tutti i suoi gesti di amore, ma non sono essi nascosti a Dio, che conosce ogni cosa.

 

Ma non sono nascoste le sue grandi opere sociali, compiute appena fatto Re. Ampliamento degli ospedali, attenzione verso i poveri e le famiglie, l’impegno di migliorare la vita sociale nel suo Regno, l’istruzione, il lavoro, le opere di carità.

Non sono nascosti i suoi grandi gesti, quando piuttosto che far spargere il sangue, ha preferito l’umiliazione. Il suo cercare attraverso il dialogo e la denuncia, di impedire una guerra assurda e ingiusta. Il suo saper rinunciare al proprio, mettendo in primo luogo l’amore al suo popolo.
Non sono nascoste le sue attenzioni e preoccupazioni, non solo materiali, ma anche spirituali, per la sua gente, i suoi soldati, persino per i suoi nemici.
Non sono nascosti, all’indomani del suo esilio, nonostante la sua difficoltà economica, i suoi atti di generosità e carità. Nelle grandi difficoltà, come lo fu il grave terremoto di Torre del Greco, dove fece pervenire attraverso il venerabile Cardinale Sforza il suo contributo alle famiglie in difficoltà, ma soprattutto nelle attenzioni quotidiane e semplici che aveva verso chiunque incontrava o bussava alla sua porta.
Non resta nascosta la sua grande fede, che seppe guardare aldilà del buio e delle tenebre, avendo sempre presente il messaggio di Gesù: beati voi, miti, umili, semplici, poveri, operatori di pace, perseguitati, oppressi, il vostro nome è scritto nei cieli.
Non è nascosto il suo grande amore, non fittizio e interessato, ma amore vero e concreto. Un amore che ebbe per tutti sino alla fine. Infatti il suo amare fu completo e per sempre, anche se fu tradito, offeso, ingannato, abbandonato, non smise mai di amare e perdonare. Non ebbe nel suo rapporto con l’altro nessun turbamento o paura, e amò “senza se e senza ma”, sino in fondo, vincendo le paure, i conflitti, gli egoismi, i rancori, i rimpianti. Amore che, proprio in Cristo Gesù, divenne per lui “donare la vita per gli altri”, per gli stessi nemici, senza alcun pensiero di biasimo o rancore, ma sempre parole di perdono e comprensione.

Alla fine della sua vita lasciò detto: <<Ringrazio tutti coloro che mi hanno fatto del bene, perdono a coloro che mi hanno fatto del male e domando scusa a coloro ai quali ho in qualche modo nuociuto>>. E già pregustava l’eterno incontro, dove avrebbe per tutto ringraziato Dio. E certamente anche per lui, come lo è stato per la sua Beata mamma, l’ultimo pensiero è stato il suo atto di fede. Con quel suo sguardo limpido e profondo, che seppe guardare sempre verso il cielo, e con quel cuore che seppe amare tutti sino alla fine, accolse la morte con un inno di gioia, perché quel suo pellegrinaggio raggiungeva ormai la meta, la “gloria” della Resurrezione.